INTERVENTI BASATI SULLA MINDFULNESS E SULL’ACCETTAZIONE NEI DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE: UNA REVIEW SULLE RICERCHE INNOVATIVE

di Mara D’Andrea*, Alessia Minniti** e Silvia Perrone*

*ASS. di Psicoterapia Cognitiva Integrata – Lecce

**Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Verona; Istituto Italiano per la Mindfulness

Introduzione: la meditazione di “consapevolezza” ha visto in questo ultimo periodo un aumento di interesse senza precedenti da parte della comunità scientifica. Dopo una prima fase di presentazione dei benefici della mindfulness, la ricerca sta cercando di comprendere e spiegare i meccanismi neurologici e psicologici sottostanti. Numerosi sono gli studi che riguardano alcuni ambiti di applicazione come i disturbi da iperattività e deficit dell’attenzione e i disturbi dell’alimentazione  (Kristeller & Wolever, 2011; Malinoski, 2013).

 

La Mindfulness è stata definita come possibile terapia di “terza generazione” anche per i disturbi dell’alimentazione ed è inserita attualmente in efficaci protocolli di cura quali: Emotion Acceptance Behavior Therapy (Wildes, Ringham, & Marcus, 2010), Dialectica Behaviour Therapy (Palmer et al., 2003) e Mindfulness Based Eating Awareness Training (MB-EAT, Kristeller & Wolever, 2010). Obiettivo di questo lavoro è analizzare e descrivere studi scientifici di recente pubblicazione circa le applicazioni teoriche e sperimentali degli interventi basati sulla Mindfulness e sull’Accettazione nei disturbi dell’alimentazione. Metodo: sono stati considerati studi pilota, sperimentazioni cliniche e altri modelli teorici pubblicati in questi ultimi anni su alcune delle più note e diffuse  riviste scientifiche quali Eating Beaviors, Body Image, Appetite, Eatinh Disorder, Frontiers in Human Neuroscience, ecc. 

Ma cosa significa Mindfulness? Il termine «mindfulness»  è la versione inglese della parola «sati» dell’antica lingua pali delle scritture buddhiste, che potrebbe essere tradotta con «attenzione consapevole», «meditazione di consapevolezza». E’ una modalità di consapevolezza fondata sull’affinamento dell’attenzione mantenuta sull’esperienza immediata con un atteggiamento di apertura e accettazione e favorisce in tal modo un maggiore riconoscimento degli eventi mentali nel momento presente. Secondo la definizione di Jon Kabat Zinn, mindfulness significa “porre attenzione intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante”.  Fu utilizzata per la prima volta in un contesto sanitario (Dipartimento di Salute dell’Università del Massachusset), nei primi anni ’80, da J. K. Zinn, attraverso un protocollo strutturato della durata di 8 settimane, il Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR), sperimentato ormai da oltre 17000 persone. Il protocollo è stato successivamente adattato in ambito clinico per vari disturbi quali bulimia, anoressia e disturbi dell’alimentazione incontrollata (MB-EAT, Kristeller & Hallet 1999; Kristeller, Baer, 2006) che integra elementi dalla terapia cognitivo comportamentale (TCC) con il protocollo MBSR.

Prime applicazioni della Mindfulness  nei Disturbi dell’Alimentazione

In uno studio di Telch et al (2000) sono stati valutati gli effetti della Dialectical Behavior Therapy (DBT) che utilizza un approccio meditativo zen, su un gruppo di 11 donne affette da BED. Queste parteciparono per 20 settimane a incontri di circa due ore. Nove pazienti su undici presentarono una completa risoluzione delle abbuffate e non incontrarono più per lungo tempo i criteri per un disturbo da alimentazione incontrollata. Impararono a riconoscere e osservare le proprie emozioni e dunque a regolare le emozioni negative senza ricorrere al cibo. Uno studio di follow up a sei e sette mesi confermava i risultati iniziali. In un successivo studio fu attuato un confronto tra un gruppo di pazienti affette da BED che seguirono un trattamento con DBT e un gruppo di pazienti con DBT in lista di attesa.  Alla fine del trattamento le pazienti che avevano seguito una DBT presentavano la remissione dei sintomi nel 89 % dei casi vc il 12,5% del gruppo in lista d’attesa.  Inoltre i pazienti che avevano seguito la DBT presentavano miglioramenti circa il peso, la forma e l’aspetto fisico oltre che una capacità di gestire l’alimentazione nei momenti di fame. Il follow up a sei mesi indicava che il 56% delle pazienti continuava a non avere abbuffate.  Veniva pertanto ipotizzato che il trattamento aiutava le persone circa l’impulso alle abbuffate quando  si presentavano emozioni negative e non tanto a diminuire le emozioni stesse.

Studi di evidenza scientifica sono stati condotti e riportati da Kristeller, Quilliam-Wolever, & Sheets (2005) attraverso ricerche randomizzate: uno studio pilota riguardava 20 pazienti affette da BED e Obesità.  Di queste 18 portarono a termine il trattamento.  Nessuna di loro aveva esperienze di meditazione. L’età media era di 46,5 anni e l’Indice di Massa Corporea (IMC) medio era di 40. Dopo una prima valutazione esse parteciparono a un programma di mindfulness di  gruppo per sette settimane con l’ausilio di un manuale. I dati descrissero una significativa riduzione del numero delle abbuffate a settimana (da 4 a 1,5) e la totale scomparsa alla fine delle sette settimane. Solo per 4 pazienti venivano rilevati ancora i criteri per una diagnosi di BED a fine percorso. Tuttavia non si rilevavano grandi cambiamenti circa il peso. La pratica di meditazione risultava particolarmente utile a modificare il rapporto circa i propri pensieri e comportamenti, oltre che gli stati d’animo e  determinava un aumento della consapevolezza circa le sensazioni di fame e di sazietà. Grazie a questi primi studi fu possibile definire il Mindfulness Based Eating Awareness Training di (MB EAT, Baer e Kristeller, 2006) un programma d’intervento per la bulimia e i disturbi da alimentazione incontrollata basato sulla meditazione di consapevolezza. Il protocollo, prevede 9 sessioni durante le quali vengono affrontati i temi inerenti alle emozioni, alla possibilità di accettare e gestire alcune emozioni quali la rabbia e il senso di colpa; vengono svolti esercizi di meditazione consapevole sull’alimentazione, sul senso di fame e sazietà, sulla scelta degli alimenti, sulle sensazioni che possono scaturire attraverso il cibo e il gusto; alcuni temi vengono affrontati attraverso la meditazione del perdono e della saggezza. Ciascun incontro prevede una pratica meditativa, la condivisione, la discussione dei temi e l’assegnazione di compiti da svolgere in casa che riguardano per lo più la pratica formale e informale e il pasto consapevole. Gli ultimi incontri sono caratterizzati da una riflessione sulle possibili scivolate e dunque alla prevenzione delle ricadute.

I meccanismi neuropsicologici della Mindfulness e Disturbi dell’Alimentazione

Al fine di descrivere i meccanismi neuropsicologici della mindfulness Malinowski ha presentato il Liverpool Mindfulness Modell (2013) che descrive minuziosamente cosa accade a livello corticale nelle differenti fasi della meditazione in riferimento per lo più alle funzioni attentive.

Il modello ha origine dalla Focus Attention e dall’Opens Monitoring di Lutz (Lutz et al., 2008), pratiche meditative caratterizzate da specifici processi neuropsicologici quali la  modulazione dell’arousal, lo stato di vigilanza, l’orientamento e la selezione degli stimoli. Essi costituiscono 5 differenti ma interattivi networks cerebrali: alerting, orienting, executive, salience, default networks (Posner and Peterson 1990; Corbetta and Shulman, 2002; Dosenbach et al. , 2006; Seeley et al., 2007). E’ stato dimostrato che il default network viene attivato involontariamente dalle persone quando la mente è distratta (Mason, 2007; Buckner et al., 2008; Schooler et al., 2011), sogna a occhi aperti, produce pensieri ruminativi sul passato e sul futuro.

Durante la pratica meditativa e in particolar modo nella fase di attenzione sostenuta si attivano le aree corticali e cerebrali dell’alerting network mentre quando l’attenzione sostenuta viene meno si attivano le aree raggruppate nel default network. Le funzioni di monitoraggio dell’attenzione e le aree che costituiscono il salience network garantiscono il riconoscimento di tale condizione di default e dunque di abbandonare lo stato errante (executive network) e di riportare l’attenzione all’oggetto osservato e al momento presente (orienting network). Gli studi di Luders (Luders et al., 2012) hanno evidenziato come la pratica meditativa possa favorire cambiamenti strutturali a livello corticale. In particolar modo la meditazione può aumentare il numero di girificazioni al livello della corteccia insulare, area particolarmente coinvolta nella regolazione delle emozioni.

Se pur tali risultati necessitano di ulteriori approfondimenti rappresentano tuttavia suggerimenti particolarmente interessanti circa la cura di alcune patologie mentali quali i disturbi dell’alimentazione. Studi recenti hanno infatti evidenziato possibili correlazioni tra disturbi dell’alimentazione e alterazioni dell’insula (Franck et al, 2013). In uno studio condotto da Bryan Lask (2011) del Great Ormond Street Children’s Hospital (UK) su un gruppo di 8 donne affette da anoressia nervosa sono state rilevate attraverso la scansione  cerebrale per immagini anomalie funzionali dell’insula, particolarmente coinvolta nel controllo del proprio corpo, degli stimoli della fame e della consapevolezza enterocettiva (Bryan Lask et al., Journal of Mental Hypotesis, 2011). Questo studio è stato successivamente confermato da una ricerca condotta da Ken Nunn (Ken Nunn, Ian Frampton, Bryan Lask, Mental Hypotesis, 2012) il quale ha rilevato disfunzioni noradrenergiche e alterazioni a livello insulare in soggetti affetti da anoressia nervosa. Anche per quanto riguarda la bulimia nervosa sono state rilevate in pazienti affette dal tale patologia importanti anomalie morfologiche nel lato sinistro dell’insula antero ventrale. Ovvero, in tutti i soggetti affetti da disturbi dell’alimentazione è stato osservato  un aumento del volume della materia grigia della corteccia orbito-frontale mediale (circonvoluzione retto) e dell’insula (Frank G. et al., 2013). È’ stato dimostrato inoltre che i soggetti con anoressia nervosa presentano una diminuzione della sensitività e della consapevolezza enterocettiva (Fassino, Piero, Gramaglia, & Abbate- Daga, 2004; Pollatos et al. 2008).

Importanza della Consapevolezza nella comprensione della insorgenza e del mantenimento dei disturbi dell’alimentazione.

Un crescente numero di ricerche suggeriscono che la Mindfulness (intesa come attenzione intenzionale al momento presente in modo non giudicante) e i suoi relativi costrutti  possono essere significativi per meglio comprendere lo sviluppo e il mantenimento dei disturbi dell’alimentazione.  L’anoressia e la bulimia sono entrambe caratterizzate da esperienze di evitamento e dal forte desiderio di mantenere un controllo sul comportamento alimentare , sui propri pensieri, emozioni e bisogni/impulsi (Corstorphine, Mountford, Tomlinson, Waller, & Meyer 2007; Merwin & Wilson , 2009; Mervin, Zucker, Lacy & Elliot, 2010; Orsillo & Batten, 2002). Secondo alcuni studiosi i disturbi dell’alimentazione possono essere rinforzati a causa di una attenzione eccessiva al controllo del peso e delle forme del corpo come meccanismo che permette di allontanarsi da esperienze di disagio e sofferenza ( Hayes &Pankey, 2002; Heffner, Sperry, Eifert & Detweiler, 2002; Paxton & Diggens, 1997; Schmidt & Treasure, 2006). Molti soggetti affetti da un disturbo dell’alimentazione presentano anche deficit nel riconoscimento delle emozioni e della consapevolezza emotiva (Harrison, Sullivan, Tchanturia & Treasure 2009; SIM &Zeman, 2004). Il riconoscimento e la consapevolezza di emozioni interne può essere determinante per la defusione cognitiva ovvero la capacità di osservare con una certa distanza e neutralità le proprie reazioni mentali e cognitive (Mervin te al. 2010). Si ritiene che gli interventi basati sulla mindfulness e sull’accettazione possano avere un effetto positivo nella riduzione dei sintomi bulimici in quanto tali interventi migliorano la capacita di accogliere e vivere adeguatamente  emozioni negative, ovvero riducono i meccanismi di evitamento delle esperienze dolorose particolarmente significativi nella insorgenza e nel mantenimento dei disturbi dell’alimentazione. Questi interventi possono essere maggiormente efficaci se inseriti in programmi di trattamento strutturati come la terapia cognitivo comportamentale come dimostrato da Woolhouse, Knowles e Crafti del Royal Children’s Hospital (2012). Gli autori hanno utilizzato nella propria ricerca un campione di 30 donne affette da disturbo da alimentazione incontrollata che avevano seguito una terapia cognitivo comportamentale combinata a interventi Mindfulness Based e che presentavano una riduzione della sintomatologia alla fine del trattamento e al follow up di 3 mesi. In uno studio di J.M. Lavender, B.F. Jardin e D.A. Anderson, pubblicato in Eating Behavior nel 2009 sono state analizzate le differenti relazioni tra  meccanismi di evitamento (repressione del pensiero), disposizione alla consapevolezza e disturbi dell’alimentazione. Lo studio è stato condotto su un campione di 187 maschi e 219 femmine (vedi tabella), studenti universitari,  di età media di 19 anni con un Indice di Massa Corporea (IMC) di 24. In questo studio furono utilizzati i seguenti strumenti psicometrici: Bulimia Test Revised (Bulit-R Thelen, Farmer Wanderlich e Smith 1991); White Bear Suppression Inventory (WBSI, Wegner, Zanakos, 1994), strumento di assessment composto da 15 items che misurano la tendenza a sopprimere pensieri spiacevoli e indesiderati; Mindfulness Attention Awareness Scale (MAAS, Brown Ryan, 2003) che misura la tendenza ad essere consapevoli e attenti al momento presente. Sono stati inoltre utilizzati altri strumenti di valutazione per i DCA. I risultati evidenziano correlazioni significative e positive tra la “soppressione dei pensieri” e sintomi bulimici sia nella donne che negli uomini e una correlazione negativa tra consapevolezza e sintomi bulimici. Secondo gli autori di questo studio il ricorrere alla soppressione dei pensieri non desiderati e spiacevoli può rinforzare le strategie disfunzionali come l’abbuffata e i comportamenti di compensazione. In particolar modo i risultati rilevati alla MAAS descrivono una relazione negativa tra consapevolezza e disturbi dell’alimentazione. Maggiore è l’attenzione, la consapevolezza e l’accettazione verso le proprie esperienze maggiore sembra essere la capacità di sviluppare strategie adeguate di soluzione del disagio e della sofferenza. Secondo Witheside (2007) questi studi sono significativi in riferimento al modello della disregolazione affettiva dei disturbi del comportamento alimentare. Tuttavia questa indagine presenta vari limiti: è stata condotta su un campione non clinico ed è stato utilizzato un solo strumento per misurare la consapevolezza. In genere la tendenza a sopprimere i pensieri indesiderati può essere non solo determinante per lo sviluppo di un disturbo dell’alimentazione ma anche per lo sviluppo di altre patologie. Park, Dunn e Barnard 82011) suggeriscono che la Mindfulness potrebbe rappresentare una qualità della mente utile alla guarigione nei soggetti affetti da anoressia nervosa in quanto favorisce la riduzione dei processi cognitivi ruminativi. La ruminazione è considerata una strategia cognitiva di evitamento particolarmente presente nei disturbi psichiatrici (Aldao & Nolen-Hoeksema, 2010; Harvey, Watkins, Mansell, &Shafran, 2004) e nell’Anoressia Nervosa (preoccupazioni sull’alimentazione, il cibo, il peso, il corpo). Tali processi possono essere determinanti non solo nella insorgenza e nel mantenimento della sintomatologia ma anche per l’outcome (American Psychiatric Association, 1994; Fairburn, Cooper, & Shafran2003; Park, Dunn &Barnard, 2011; Hambrook te al, 2011). Bishop (2004) considera la consapevolezza una abilità mentale di osservare i fenomeni cognitivi, fisici ed emotivi in modo non giudicante, ovvero la controparte della ruminazione e dell’evitamento mentale. In uno studio di Rebecca J Park (2011-2012) è stata dimostrata l’esistenza di una relazione tra ruminazioni su “alimentazione-peso-forma del corpo” e “consapevolezza”. In questo studio è stato utilizzato un campione di 228 donne, di età media di 24 anni (IMC di 22) che hanno compilato in modalità online una batteria di test quali: Eating Disorder Examination Questionnaire (EDE-Q, Fairburn & Beglin, 2008), composto da 28 items che misurano i sintomi del disturbo alimentare con particolare riferimento alle preoccupazioni sul cibo, peso, forme del corpo e restrizione; Patient Health Questionnaire-9 (PHQ-9, Kroenke, Spitzer, & Williams, 2001), una scala di 9 items che misurano la presenza di sintomi depressivi in riferimento alle ultime 2 settimane; Generalised Anxiety Disorder Assesment-7 (GAD-7, Spitzer, Kroenke, Williams & Lowe, 2006), una scala di 7 items che misurano la presenza di sintomi che riguardano il disturbo d’ansia in riferimento alle ultime 2 settimane; Ruminative Response Scale for Eating Disorder (RRS-ED, Cowdrey & Park, 2011), un recente strumento per misurare le ruminazioni in modo specifico circa i disturbi dell’alimentazione, un adattamento della Ruminative Response Scale di Nolsen-Hoeksema & Morrow (1991) e di Treynor, Gonzalez & Nolsen-Hoeksema (2003);  The Acceptance and Action Questionnaire-II (AAQ-II, Bond et al., 2011) composto da 7 items che misurano la flessibilità e l’accettazione psicologica, ovvero la capacità di accogliere pensieri e sentimenti difficili, nel momento presente, così come si presentano, senza modificarli, controllarli o rifiutarli; The Five Factor Mindfulness Questionnaire (FFMQ, Baer, Smith, Hopkins, Krietemeyer & Toney, 2006) composto da 39 items che misurano la consapevolezza nella vita di ogni giorno.  Secondo i risultati di questo studio i soggetti che presentavano buone capacità di “prestare attenzione al momento presente in modo intenzionale e non giudicante”, attuando dunque una disidentificazione dai propri processi cognitivi, avevano un numero inferiore di ruminazioni su cibo, peso e forme del corpo; viceversa i soggetti con elevata difficoltà ad accettare i propri pensieri negativi avevano maggiori ruminazioni sull’alimentazione, il peso e le forme del corpo. I risultati sembrano essere in linea con quelli ottenuti in precedenti studi  dove i DA sono strettamente caratterizzati da meccanismi di evitamento e processi di pensiero di tipo ruminativo (Corstorphine, Mountford Tomlinson , Waller, & Meyer, 2007; Nolen-Hoeksema, Stice, Wade, & Bohon, 2007; Rawal te al., 2010; Wildes te al., 2010) e negativamente correlati con la consapevolezza (Lavender et al., 2009; Lavender et al., 2011).

Studi condotti su singoli casi clinici e altri studi pilota descrivono la Mindfulness e l’Accettazione come possibili vie di cura per i disturbi dell’alimentazione (Anderson &Simmons, 2008; Fischer, & Huss, 2005; Juarascio , Forman &Herbert, 2010; Kristeller, Baer, & QuillianWolever, 2006; Safer, Telch, & Chen 2009).  In uno studio condotto da Alberta, Thewissen e Raes sono stati evidenziati i benefici della pratica della mindfulness su un campione non clinico di 26 donne di età media di 48 anni (IMC medio di 32) che presentavano problemi alimentari. Di queste 14 hanno costituito il gruppo di controllo (lista d’attesa) mentre le restanti 12 hanno composto il gruppo sperimentale partecipando ad un programma di 8 settimane di Mindfulness Based Cognitive Therapy (MBCT) adattato per i disturbi dell’alimentazione. I fattori indagati riguardavano per lo più il pensiero dicotomico circa l’immagine corporea e l’impulso all’abbuffata, la consapevolezza circa le sensazioni fisiche ed emotive legate all’alimentazione (gusto, fame e sazietà, noia, ansia, tristezza) e le reazioni cognitive come il giudizio e la critica. I risultati hanno evidenziato miglioramenti significativi nel gruppo sperimentale rispetto al gruppo di controllo (inserisci tabella) per ciò che riguarda i seguenti fattori: consapevolezza, restrizione alimentare, alimentazione emotiva, impulso all’abbuffata, pensieri circa l’immagine del proprio corpo e modalità di pensiero dicotomico. Nonostante i limiti di questa ricerca dovuti alla numerosità esigua del campione, all’utilizzo di strumenti di misurazione solo di tipo self report e all’uso di un protocollo adattato e non standardizzato, i risultati sono molto interessanti soprattutto se considerati come supporto ai precedenti studi su Mindfulness e disturbi dell’alimentazione di Baer e Kristeller (Kristeller e Welever, 2011)
Nel 2012, è stato pubblicato su Eating Behaviors una ricerca condotta per la prima volta su un campione clinico (Meghan L. Butryn, Adrienne Juarascio, Jena Shaw, Sthephany G. kerrigan, Vicki Clark, 2012). Un gruppo di 88 pazienti affette da disturbo dell’alimentazione sono state valutate prima e dopo aver ricevuto un trattamento residenziale al fine di rilevare eventuali cambiamenti circa Consapevolezza, Accettazione e sintomi del disturbo alimentare. Delle 88 pazienti (al momento del ricovero) 35 risultavano affette da anoressia nervosa, 29 da da bulimia nervosa e 24 da disturbo dell’alimentazione non altrimenti specificato (DSM-IV).  Solo 59 pazienti hanno completato il trattamento residenziale e dunque la valutazione alla fine della cura. Oltre ai noti EDI-3 di David M. Garner ed EDE-Q, per misurare la consapevolezza e l’accettazione della propria immagine sono stati utilizzati i seguenti strumenti psicometrici: Body Image Acceptance and Awareness Questionnaire (BI-AAQ, Sandoz 2010), un self report di 12 item che misurano la flessibilità nella misurazione e valutazione del proprio corpo; Philadelphia Mindfulness Scale (PHLMS, Cardaciotto, Herbert, Forman, Moitra, & Farrow, 2008), un self report di 20 item che misura due costrutti: consapevolezza del momento presente e accettazione non giudicante; Emotional Avoidance Questionnaire (EAQ, Taylor, Laposa & Alden, 2004) un self report di 20 items costruito per misurare l’evitamento delle emozioni sia attraverso i comportamenti che attraverso i pensieri; Eating Attitudes Thoughts and Defusion Scale (EATDS, Shaw et al.) recente self report di 13 items, non ancora pubblicato che misura la capacità nel prendere distanza dai pensieri negativi circa cibo, peso e immagine corporea. I risultati rilevati al momento del ricovero, ovvero prima del trattamento residenziale, evidenziano una correlazione significativa positiva tra consapevolezza, accettazione e disturbo dell’alimentazione: a più alti livelli di consapevolezza corrispondono meno e meno gravi sintomi alimentari indipendentemente dalla presenza di possibili comorbidità con disturbi del tono dell’umore o disturbi d’ansia. I risultati rilevati al momento della dimissione descrivono una correlazione significativa tra consapevolezza e regressione della sintomatologia. Solo per quanto riguarda la defusione cognitiva non si rileva lo stesso andamento. Infatti questa non sembra essere correlata ai sintomi della bulimia.

 

Conclusioni

Le ricerche analizzate e descritte in questo lavoro presentano numerosi limiti: alcuni studi, infatti, sono stati condotti su campioni esigui o non clinici, in alcuni casi è stato utilizzato un solo strumento per misurare la consapevolezza e la raccolta di dati è avvenuta con strumenti solo self report o self report in modalità online. I protocolli utilizzati sono spesso adattati e non standardizzati. Nonostante questi limiti la Mindfulness, l’Accettazione e i suoi relativi costrutti possono essere significativi per meglio comprendere lo sviluppo e il mantenimento dei disturbi dell’alimentazione.   Gli interventi basati sulla Mindfulness e l’Accettazione possono rappresentare efficaci vie di cura per i disturbi dell’alimentazione soprattutto se inseriti in altri programmi di trattamento come la TCC. I risultati riportati nei vari studi incoraggiano la ricerca a proseguire in questo ambito (Anderson & Simmons, 2008; Fischer, & Huss, 2005; Juarascio , Forman &Herbert, 2010; Kristeller, Baer, & QuillianWolever, 2006; Safer, Telch, & Chen 2009). 

 

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